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Dalla parte del paziente.

Il motivo che ci spinge a scrivere un articolo intitolato Dalla parte del paziente nasce da una ricerca svolta per provare a comprendere quale sia il vissuto del paziente nei confronti del dolore lombare, perché si, possiamo dircelo, non sempre noi clinici abbiamo lo stesso modo di vedere il problema che hanno i nostri pazienti (purtroppo o per fortuna?)

L’articolo si sviluppa analizzando i seguenti punti nei relativi paragrafi: se non ti va di leggerlo tutto puoi andare dritto al punto che ti interessa!

 

              • 1. Va proprio così bene nel 90% dei casi?!
              • 2. É così facile agire in un’ottica bio-psico-sociale?
              • 3. Il personale sanitario non capisce il MIO dolore!
              • 4. Rassicurare è utile? Come farlo?
              • 5. Il MIO dolore non passa perché….
              • 6. Sono guarito! (..ma cosa vuol dire?)
              • 7. L’esercizio perfetto per me

 

1. Va proprio così bene nel 90% dei casi?

 

È opinione diffusa che la lombalgia sia una condizione della quale i pazienti possano essere rassicurati, poiché nel 90% dei casi la guarigione avviene spontaneamente entro 4 /6 settimane dall’evento acuto. Questa informazione è supportata da alcune linee guida per il management della lombalgia pubblicate diversi anni fa. Ma è veramente così? La letteratura ci mostra che questa sembra essere un’affermazione piuttosto ottimista a dimostrazione del fatto che ad oggi siano ancora poco chiare sia la definizione di Low back pain, sia quella di guarigione. Non vi sono evidenze a supporto del fatto che circa il 90% dei pazienti “guarisca” entro un mese.

 

Si suppone che la prognosi per un episodio acuto di lombalgia aspecifica sia favorevole, ma questo si basa solamente sul ritorno alla funzione.
Cosa dicono i numeri?

 

Parliamo di ritorno al lavoro, ritorno alla funzione e risoluzione del dolore.

Circa il 50% dei pazienti che a causa dell’episodio di lombalgia acuta si sono allontanati dal lavoro, lo hanno ripreso in due settimane, percentuale che sale all’83% in un periodo di 3 mesi. La disabilità in media persiste per 31 giorni, mentre il dolore impiega circa 58 giorni per risolversi (è ciò che persiste più a lungo). Solo il 72% dei pazienti mostra una guarigione completa sotto questi tre aspetti in 12 mesi, quindi, circa il 30% dei pazienti ad un anno dall’evento non è ancora ritornata alle condizioni precedenti l’evento.

Il ritorno al lavoro, il miglioramento della condizione di disabilità e la remissione del dolore non avvengono quindi in modo sincrono.

Insomma, il quadro generale ci mostra come il LBP, se consideriamo il ritorno al lavoro, alla funzione e la remissione del dolore, non si autorisolva semplicemente ignorandolo e rimanendo attivi, o almeno, questo può accadere, ma non di certo nel 90% dei pazienti.

 

È stato visto come alcuni fattori possano contribuire al persistere della disabilità, del dolore e nel posticipare il rientro al lavoro. Tra questi, sono riportati: età avanzata, alta intensità del dolore, lunga durata dei sintomi e molti giorni di limitazione delle attività prima di giungere al professionista, depressione, percezione del rischio di avere una condizione che resterà permanente. Sembra inoltre molto importante nel perdurare della sintomatologia l’avere un risarcimento assicurativo e il livello di disabilità iniziale, così come aver avuto episodi precedenti di lombalgia.

Il trattamento dovrebbe quindi indirizzarsi anche a questi fattori.

 

Il quadro che emerge è che, i consigli che come clinici diamo ai nostri pazienti, possono alterare il corso di un episodio di lombalgia acuta, ma per poterli dare è necessario valutare adeguatamente questi fattori prognostici. Per quanto riguarda gli outcome, è bene considerare che per le tre dimensioni della guarigione (ritorno al lavoro, riduzione della disabilità e del dolore), il dolore è ciò che impiega più tempo a risolversi.

Non siamo quindi legittimati a dire al paziente semplicemente “stai tranquillo, rimani attivo, a 9 persone su 10 in un mesetto passa tutto”.

 

 

2. É così facile agire in un’ottica bio-psico-sociale?

 

Si è parlato più volte di offrire al paziente un buon inquadramento secondo un’ottica biopsicosociale per quanto riguarda la ricerca della presenza di fattori prognostici negativi (flags). Ma com’è possibile farlo concretamente? Le linee guida restano spesso vaghe sulle procedure effettive da seguire, sugli strumenti utilizzabili e sulla messa in atto di interventi orientati al lato psicologico e sociale del paziente. Alcuni interventi, come l’educazione su misura, possono essere relativamente (si fa per dire) semplici da applicare, ma altri, come ad esempio l’approccio cognitivo comportamentale necessitano di formazione apposita da parte dei clinici. Ciò che emerge è la necessità dello sviluppo di strumenti di valutazione e di conseguenza di trattamento per i pazienti che presentano queste condizioni.

 

Ad oggi, le linee guida non forniscono ai clinici istruzioni chiare riguardo a come fare per incorporare i fattori psicologici e sociali all’interno della condizione di LBP, e una volta individuati, a dedicarvi un trattamento mirato. Ogni clinico dovrebbe avere tra i propri obiettivi formativi quello di ottimizzare le proprie conoscenze e skills riguardo gli elementi psicosociali nella gestione del LBP!

 

Piccolo richiamo: hai letto i nostri post e gli articoli sul Common Sense Model nella gestione del dolore lombare? Per noi è uno strumento utile proprio per impostare un colloquio con il paziente che vada a ricavare ciò di cui abbiamo più bisogno per sviluppare una corretta valutazione e di conseguenza un trattamento mirato.

 

Lo scopo finale è quello di fornire al paziente raccomandazioni formulate in modo più personalizzato, specifico e completo possibile!

 

 

3. Il personale sanitario non capisce il MIO dolore!

 

D’altra parte, cosa pensa il paziente? “It struck me they didn’t understand pain” è il titolo lapidario di un articolo citato in bibliografia che esplora tramite interviste l’esperienza di alcuni pazienti riguardo la diagnosi e il menagement del loro dolore muscoloscheletrico dal momento in cui sono giunti allo specialista, e quali fattori hanno influenzato la loro interpretazione di questa esperienza.

 

Sono state indagate 4 aree: “identità spogliata”, “calo della fiducia nella medicina”, “dare senso al dolore”, “imparare a vivere con il dolore”.

 

L’ “identità spogliata” nasce come conseguenza delle restrizioni nelle attività che caratterizzavano l’individuo a causa del dolore. Spesso le limitazioni fisiche determinano una “modificazione del proprio io” nel paziente, che si percepisce diverso dagli altri.

“Sono sempre stato in grado di fare qualsiasi cosa ed ora questo dolore mi rallenta, non mi ha fermato, ma mi ha rallentato molto; perchè ho sempre nuotato, sono sempre andato a nuotare, ma adesso non ci vado, non vado a ballare. Ho rinunciato a molti dei miei divertimenti, dei miei svaghi.. sono invecchiato prima del tempo”.

É importante segnalare che solo una piccolissima parte dei pazienti ha riferito di aver messo in atto dei comportamenti di forte negazione del dolore per poter preservare la propria identità.

 

Molti pazienti parlano del loro percorso di presa in carico con disappunto. Sono state insoddisfatte prevalentemente le aspettative inerenti la capacità di diagnosticare la causa esatta del dolore, il che ha avuto come conseguenza una perdita parziale della fiducia. In tanti hanno riferito il bisogno di tempo per esprimere gli effetti del dolore cronico su di loro, riportando come gli specialisti non li avessero presi sul serio, quasi come se non gli importasse. Per questi pazienti, l’assenza di qualsiasi patologia organica ben definita tale da poter giustificare il loro dolore, rende fondamentale la comunicazione della propria esperienza di dolore cronico, così che possa essere presa sul serio come si fa per una patologia conclamata. Molti pazienti riportano di avere avuto diagnosi differenti e opinioni contraddittorie, mentre altri credono che la medicina non possa offrire una cura, ma soltanto gestire il dolore, perciò si sono rivolti a terapie alternative.

Ha cambiato drammaticamente la mia via.. tutti i miei interessi, adesso, sono cambiati. Ero solito svolgere un’attività fisica molto intensa, e semplicemente non posso farlo, bene, sto dicendo che non posso! Praticavo windsurf ad altissimo livello, karate e tante cose di quel genere.. ma non c’è verso che possa minimamente contemplare nulla di ciò ora come ora, perciò ho imparato a modificare i miei passatempi.

 

Per quanto riguarda il “dare senso al dolore”, i pazienti riportano la propria percezione di mancanza di aiuto da parte dei medici nel compiere questo processo. Per molti di loro, la causa sembra essere attribuibile ad interventi pregressi e a compensi messi in atto dal corpo. “I dottori non conoscono ogni cosa, ma per forza qualcosa me lo devono dire”. “Sono andato dal dottore e gli ho detto che avevo dolore al petto, da non riuscire a respirare; e lui mi ha risposto che avevo l’influenza. Bene, senza febbre, senza sintomi influenzali.. e mi ha mandato a casa. Hai l’impressione che semplicemente non gli importi abbastanza”.

 

“Vivere con il dolore e pianificare il futuro”. Un problema per i pazienti con dolore cronico è capire quando eventualmente finirà. Il fatto di avere una “soglia del dolore aumentata” viene riportato da molti di loro, che accettano effettivamente il dolore come una parte della loro vita. “ho un dolore terribile diffuso in tutto il corpo, ogni parte mi fa male e non posso prendere antidolorifici perché sto assumendo abbastanza farmaci. Come dire, lo sto solamente sopportando”.

 

Insomma, dalle interviste dei pazienti si percepisce un fallimento da parte del personale sanitario nel prendere sul serio coloro che hanno dolore cronico e la mancanza di tempo sufficiente a comprendere i loro problemi.

 

 

4. Rassicurare è utile? Come farlo?

 

Proprio in risposta alle percezioni dei pazienti sopra citate, diversi studi hanno iniziato ad indagare il ruolo della rassicurazione (che ricordiamo essere principalmente di due tipi, emotiva e cognitiva). Rassicurare i pazienti che riportano sintomi la cui origine non è ben definita è una delle sfide più importanti nelle prime fasi della gesitione del dolore lombare aspecifico. È necessario impostare una comuncazione sia sul piano cognitivo che su quello affettivo, fornendo informazioni tagliate su misura del paziente. Attenzione: gli studi riportano come in sottogruppi di pazienti ad alto rischio di cronicità messaggi generici sulle aspettative di un buon recupero come semplicemente rimanere attivi o fare più movimento sono considerate rassicurazioni false!

 

Ricordiamo che il semplice consiglio di rimanere attivi non è per tutti: ci sono pazienti che, fronteggiando il dolore aumentando il proprio livello di attività non fanno altro che esacerbarlo. Mentre i pazienti che attuano strategie di evitamento innalzano il proprio livello di disabilità. Pertanto è bene fornire indicazioni opportune per ciascuno.

 

Il paziente, al termine del colloquio, dovrebbe essere congedato dopo aver appreso informazioni effettive riguardo la natura del problema, la prognosi, strumenti adeguati per la sua gestione, e quale livello di attività fisica mantenere. Dire semplicemente “non c’è nulla di grave, non hai bisogno di una risonanza, non rimanere a letto” fa sì che i pazienti lascino lo studio senza informazioni valide e strumenti adeguati per gestire il problema: se il dolore cala in pochi giorni non è un grosso danno, ma se dovesse persistere? Il clinico avrebbe dovuto offrire modelli adeguati di possibile andamento della condizione già dal primo incontro.

È per questo che diamo molta importanza al PERCORSO (vedi articolo dedicato sul sito!)

 

 

5. Il MIO dolore non passa perchè….

 

Nello studio che vi riportiamo sono state indagate tramite questionari e interviste le spiegazioni elaborate dagli stessi pazienti riguardo il dolore che non passa.

Capire il punto di vista del paziente, i costrutti concettuali che egli stesso crea per attribuire un significato alla sua condizione clinica, ci permette di entrare in relazione con lui in modo più empatico ed efficace.

 

Si evince come i pazienti, per spiegare perché il loro dolore è persistente, facciano per lo più riferimento a concetti quali:

il mio corpo è diventato una “macchina rotta”

 “la mia condizione è permanente/immutabile”: una volta danneggiata, la schiena rimarrà tale per sempre (non si accenna mai al fatto che la lombalgia possa essere transitoria, reversibile o temporanea).

“il mio, è un problema complesso!” Alcuni pazienti arrivano ad ammettere che il corpo non si comporta sempre come una “macchina semplice” poichè è dotato di un cervello; i fattori contribuenti la lombalgia possono sì essere biologici, ma emozioni e psiche contribuiscono al manifestarsi della sintomatologia.

è una situazione “davvero negativa”: il problema viene descritto sempre da parole negative come “degenerazione”, “danno”, “scarso”. E’ rarissimo che la persona con LBP descriva la propria condizione con termini neutri.

 

Ciò che ci deve spingere a riflettere è che i pazienti affermano di aver appreso queste convinzioni in primo luogo dagli stessi professionisti della salute! (seguiti da internet, famigliari, amici, altro..)

Sebbene vi sia uno sforzo continuo per modificare le credenze riguardo il dolore spingendosi verso un’ottica “più biopsicosociale”, le persone con lombalgia aderiscono bene al modello tradizionale meccanicistico, dove sono importanti le cause ricercate nell’anatomia e nella biomeccanica.

Questo evidenzia l’importanza di formarsi per fornire ai pazienti delle informazioni di qualità.

 

 

6. Sono guarito! (..ma cosa vuol dire?)

 

Che cosa significa guarigione per i pazienti? Il concetto di guarigione è piuttosto complesso, individuale, determinato dalla consapevolezza dell’impatto dei sintomi sulle attività quotidiane così come sulla qualità della propria vita. Dagli studi è emerso come per i pazienti fosse fondamentale la ripresa di attività usuali quali dormire, giocare con i bambini, svolgere le faccende domestiche, guidare, camminare, stare a sedere, riprendere il proprio sport, ritornare ai propri svaghi, uscire con amici e famigliari, affaticarsi di meno e avere più energia per le attività, essere capaci di muoversi liberamente e ritornare ad avere un pensiero positivo.

“Confido nel fatto che posso tornare a fare ciò che solitamente ero in grado di fare.. anche solo correre per attraversare la strada”. “Se posso fare tutte le cose che per me contano.. correre in giardino con i miei figli… posso dire di essere pienamente guarito”.

 

Tuttavia, sebbene in molti siano in grado di definirsi guariti o meno, alcuni partecipanti hanno avuto qualche difficoltà con questa dicotomia, illustrando la complessità della richiesta:

“In realtà penso che una volta che hai sofferto di mal di schiena non starai mai meglio; è sempre lì”. “Pensavo che una volta scomparso il dolore fosse tutto a posto. E fu così, finchè non ebbi un secondo episodio, durante il quale realizzai che non si era aggiustato niente e niente si sarebbe aggiustato; perciò da quel momento per non avere dolore è bastato non stare a pensarci più di continuo”. “Non riesco a immaginare un dolore uguale a zero. Ci sono giorni buoni e se ne ho due o tre sto bene e sono contento così.. tutto ciò che puoi fare è cercare di gestire il dolore e di conviverci.. è la migliore qualità di vita che puoi avere, è tutto”.

 

Proprio le parole dei pazienti ci fanno dire che una semplice riduzione del dolore misurata con NRS non è sufficente per determinare la loro guarigione o meno, ma lo è ben di più la consapevolezza dell’impatto che i sintomi hanno sullo svolgimento di attività significative della propria vita e sulla ripresa del proprio ruolo all’interno della società.

 

 

7. L’esercizio perfetto per me   

 

E a proposito di prevenzione? Quali sono le opinioni dei pazienti? Un altro studio indaga ciò che essi pensano riguardo il ruolo dell’esercizio terapeutico per la prevenzione degli episodi di lombalgia, i loro bisogni e le loro preferenze.

I pazienti esprimono per lo più l’esigenza di ricevere:

 

– un programma di esercizi stilato su misura

Che comprenda un alto livello di supervisione iniziale e spiegazioni “biomediche” individualizzate.
“Vorrei capire quali muscoli lavorano esattamente, perchè mi aiuterebbe davvero a conoscere meglio il mio corpo”.

Molti esprimono il bisogno di rinforzare il core, delineandolo come un obiettivo importante, così da aver meno bisogno di “protezione per la schiena”. I miglioramenti della fitness vengono spesso connessi ad altri benefici, anche a livello mentale.

“Se i professionisti dicono ‘hai bisogno di esercizio’ che siano almeno capaci di fornire informazioni ed evidenze riguardo quale sia il miglior esercizio per la mia condizione.. perchè beh, è frustrante sentirsi dire solamente fai esercizio”.

 

outcomes ben definiti

Tra i quali vengono considerati importanti l’intensità del dolore, la durata, la frequenza, le riacutizzazioni, la fitness generale e la capacità di svolgere le attività di tutti i giorni. I pazienti riportano spesso il bisogno di fare progressioni sulla base degli obiettivi raggiunti!

 

interazione sociale

Per aumentare la motivazione e condividere le proprie esperienze

 

– una routine di esercizi che si possa adattare a condizioni di dolore fluttuanti nel tempo

 

 

Conclusioni

Abbiamo scelto di scrivere questo articolo un po’ diverso dal solito per riportarvi il punto di vista dei pazienti riguardo diversi aspetti importanti del loro percorso riabilitativo, perché spesso abbiamo a che fare con termini quali guarigione, dolore persistente, molte volte diamo esercizi, proviamo a rassicurare, cerchiamo di spiegare cosa vuol dire essere guariti e ci facciamo grandi ascoltatori di vissuti complessi di storie di dolore che cambia la vita delle persone. Con questo articolo, abbiamo voluto indagare proprio il punto di vista del paziente, per metterci “dalla sua parte”, offrendo spunti pratici da applicare nella quotidianità dei nostri ambulatori. Pensiamo che molto spesso dietro la condizione clinica si celi una persona con un vissuto tale da renderlo unico: a volte qualche piccolo atteggiamento nel nostro modo di proporci, di porre domande, di prescrivere esercizi, di scegliere con quali parole costruire un dialogo può fare la differenza nell’approccio ad una patologia che ben raramente si limita a “qualche giorno a letto”.

 

Se ti intressa l’argomento gli ultimi articoli pubblicati sul sito fanno il caso tuo!

 

Ma prima di salutarci..

Cosa significa per te guarigione? Cosa significa per i tuoi pazienti?

 

 

Bibliografia

 

Low back pain: what is the long-term course? A review of studies of general patient populations;

Lise Hestbaek Charlotte Leboeuf-Yde Claus Manniche; Eur Spine J (2003)

 

What does the patient with back pain want? A comparison of patient preferences and physician assumptions; Matthew Smuck, Kevin Barrette, Agnes Martinez-Itha, Geoffrey Sultana, MDc, Patricia Zheng, The Spine Journal (2021)

 

Recovery: What Does This Mean to Patients With Low Back Pain?; Julia m. Hush, Kathryn Refshauge, Gerard Sullivan, Lorraine De Souza, Christopher g. Maher, And James h. Mcauley; American College of Rheumatology (2009)

 

Unique considerations for exercise programs to prevent future low back pain: the patient

Perspective; Julie Ayre, Hazel Jenkins, Kirsten J McCaffery, Christopher G Maher, Mark J Hancock; PAIN Publish Ahead of Print

 

Individuals’ explanations for their persistent or recurrent low back pain: a crosssectional Survey;

Jenny Setchell , Nathalia Costa, Manuela Ferreira, Joanna Makovey, Mandy Nielsen and Paul W. Hodges

Musculoskeletal Disorders (2017)

 

Clinical course of non-specific low back pain: A systematic review of prospective cohort studies set in primary care; J. Itz, J.W. Geurts, M. van Kleef P. Nelemans; Eur J Pain (2012)

 

Effective Reassurance in Primary Care of Low Back Pain What Messages From Clinicians are Most Beneficial at Early Stages?; Monika I. Hasenbring, and Tamar Pincus; Clin J Pain (2015)

 

Prognosis in patients with recent onset low back pain in Australian primary care: inception cohort study; Nicholas Henschke, Christopher G Maher, et Al; bmj (2008)

 

“It Struck Me That They Didn’t Understand Pain”: The Specialist Pain Clinic Experience of Patients With Chronic Musculoskeletal Pain; Geoffrey Harding, Suzanne Parsons, Anisur Rahman, And Martin Underwood; American College of Rheumatology (2005)

 

Lack of Consensus Across Clinical Guidelines Regarding the Role of Psychosocial Factors Within Low Back Pain Care: A Systematic Review; Jesper Knoop, Geert Rutten,Cato Lever, Jaap Leemeijer, Lieke

The Journal of Pain (2021)

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Massimo Morini

Laureato in Fisioterapia nel 1989 presso l’Università di Bologna.

Titolo di osteopata conseguito nel 2000 presso il C.E.R.D.O. di Milano 

Titolare dal 2011 di “FISIOEMME” 

 

Corsi di perfezionamento: 

R.P.G. (riabilitazione posturale globale)
Patologie del rachide Metodo Mckenzie
Kinetic Conrol
Tecniche di manipolazione Miofasciale
Trigger Point (Metodo Top 30)
M.E.T. in medical exercise teraphy (Tom Arild Toertensen) Cognitive teraphy rheabilitation (Tom Arild Toertensen)
Congresso S.I.M.P.A.R. (Study In Multidisciplinary Pain Research ) EU
Trattamento di fibromialgia e dolore cronico (Jo Njis)
European Pain School: Pain Neuron Gender and Society (IASP)
Neurosciences School of advanced study : Chronic pain plasticity and therapeutic perspectives ( IASP)
CRPS (Complex regional pain syndrome) (IASP)

Mobilizzazione del sistema nervoso N.O.I (David Butler)

Neuroscience school of Advanced Studies (NSAS)“The Neurobiology of Stress and Resilience” 2018 Venezia

Placebo Nocebo e ralzione terapeuta/paziente: nuove prospettive dalle recenti acquisizione dalle neuroscienze Fabrizio Benedetti Milano 2018

Explain pain Ben Davis 2019

Lorimer Moseley in London (N.O.I. Group) 2019

Pain Science in Motion Savona 2019

Pratica clinica informata in psicologia per clinici che trattano pazienti con dolore. Tamar Pincus Milano 2019

I linguaggi della cura “Medicina Narrativa” ISTUD Milano 2019

Effetti placebo, nocebo e fattori di contesto nella pratica clinica. Fabrizio Benedetti, Giacomo Rossettini 2020 Milano

 

Relatore in:

· convegno “Dalla parola al gesto” marzo 2021

· presso IFOA “Il benessere muscoloscheletrico 4.0” 2020 e 2021

· Lombalgie e stili di vita Rubiera 2019

· Il lavoro in team come approccio multidisciplinare al dolore cronico muscoloscheletrico Classic Hotel 2015 Reggio Emilia

· Il percorso del Sollievo 2014-2015 Reggio Emilia

· La spalla dolorosa inquadramento clinico, diagnostico e terapeutico Reggio Emilia 2014

· Le cefalee un approccio con metodiche non convenzionali 2016 Reggio Emilia

· Fibromialgia dalla diagnosi all’approccio terapeutico condiviso approccio multisciplinare Scandiano 2018

 

Autore di:

LIBERI DAL DOLORE, 2017