La ricerca scientifica negli ultimi 15 anni ha iniziato a svelare i meccanismi che sono alla base della cronicizzazione del dolore alla schiena, questo fenomeno avviene nel 20% delle persone circa che soffrono di episodi di dolore acuto alla colonna vertebrale.
In questa porzione della popolazione purtroppo, più passa il tempo e più il dolore perde il suo significato di protezione dell’organismo, creando solo sofferenza e influenzandone pesantemente la qualità della vita.
Il modello più comune studiato a cui fa riferimento anche questo articolo è il modello applicato al dolore lombare. Le neuroscienze, grazie anche alle innovazioni tecnologiche non invasive, ci forniscono un quadro preciso di cosa succede nel cervello dal punto di vista elettrico e chimico e quali aree e circuiti entrano in gioco quando una persona vive un’esperienza come il dolore. oggi queste informazioni ci permettono di rispondere in maniera scientifica a due quesiti clinici molto importanti per poter impostare un corredo trattamento in caso di dolore cronico lombare :
Siamo predisposti al dolore cronico o lo diventiamo in seguito all’esposizione al dolore acuto?
Possiamo intervenire efficacemente sul dolore cronico?
Per rispondere correttamente è necessario fare alcune premesse che riguardano al dolore, esso deve essere considerato seppure spiacevole come un’esperienza indispensabile alla sopravvivenza e alla conservazione dell’integrità del nostro organismo e come tutte le esperienze biologicamente importanti è capace di indurre una forte motivazione a cercare un rimedio e a garantirne l’apprendimento.
Per spiegarlo con parole semplici analizziamo ciò che avviene in un altra esperienza biologicamente vitale, se provo molta sete sarò molto motivato a trovare un rimedio: ovvero cercare dell’acqua, trovata l’acqua mi sarò dissetato e avrò imparato a cercare l’acqua per dissetarmi.
I circuiti nel cervello che mi spingono a trovare la ricompensa (es: l’acqua) si trovano in una parte profonda e primitiva del nostro cervello (sistema mesolimbico), questa parte risponde a bisogni, funzioni ed emozioni primordiali e assume grande importanza ogni volta che dobbiamo soddisfare un desiderio che consideriamo prioritario.
Dobbiamo inoltre ricordarci di considerare il dolore come un’ esperienza formata da due grandi componenti:
- una discriminativa (detta anche via laterale): che da informazioni sull’ intensità, la localizzazionee le caratteristiche del dolore (cioè brucia, punge, dà scosse elettriche, sordo ecc.) questa componete partendo dal tessuto danneggiato (la ferita) attraverso un complesso percorso di nervi porta il segnale ad una parte specifica del cervello denominata corteccia somatosensoriale primaria che ha appunto la funzione di indicarci dove, come e quanto, anche se, non necessariamente questi segnali producono dolore.
- via mediale (o sistema mesolimbico): La seconda componente, connessa con un sistema profondo detta anche via mediale o sistema mesolimbico ci invia informazioni legate all’emozioni relative allo stimolo che sentiamo, cioè potenziale pericolosità di ciò che sta accadendo o ci potrà accadere in futuro e ci suggerisce i comportamenti immediati e futuri da tenere. Possiamo quindi considerare il dolore come una esperienza individuale e soggettiva integrata di sensazioni ed emozioni atta a proteggerci dal pericolo per conservare l’organismo nell’immediato e ad imparare come farlo nel nel futuro.
La ricerca scientifica si è concentrata ad individuare quali fattori sono importanti per la transizione del dolore da acuto a cronico:
- fattori genetici
- l’età
- il sesso
- precedenti esperienze di dolore
- gli adattamenti del sistema nervoso centrale e periferico (sensibilizzzione),
- alcuni stati emotivi tra cui ansia, depressione, catastrofismo, paura, paura del dolore, i disturbi del sonno tra i potenziali fattori di rischio.
E’ quindi difficile rispondere con certezza alla prima domanda cioè distinguere quanto siamo predisposti alla cronicizzazione o quanto il dolore diventa cronico in conseguenza di eventi di dolore acuto o quanto sia una combinazione percentuale delle due situazioni.
Alla seconda domanda la letteratura risponde suggerendo che la fisioterapia può essere uno strumento efficace se praticata con un lavoro in equipe multidisciplinare, per agire sia sulle componenti meccaniche dell’apparato muscolo-scheletrico che sulle conseguenze emotive/affettive.I protocolli di trattamento, grazie anche all’uso di questionari specifici per valutare i bisogni reali del paziente, devono prevedere sempre elementi di educazione, strategie di comportamento, esercizio fisico, terapie fisiche e farmacologiche adattati in modo personalizzato.
Bibliografia:
- Edita Navratilova and Frank Porreca nature.Reward and motivation in pain and relief; Nature neuroscience 2014
- Kehlet H. Jensen TS. Woolf CJ. Persistent postsurgical pain: risk factors and prevention; Lancet 2006
- Apkarian AV. Baliki MN, FarmerMA. Predicting transition to chronic pain current opinion. Neurology 2013
- Adriaan Louw, PT, Ina Denier,David S. Buttler, Emilio Puentedura, The effect of neuroscience on pain, disability, anxiety, and stress in chronic musculoskeletal pain. Physical Medicine and Rehabilitation. 2011
- Franziska D, Stephen McMahon. Neurobiological basis for pain vulnerability: Why me ? Pain 2017
- Morini Massimo libro “Liberi dal dolore”. 2017